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Le education technology (o tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento) hanno origine negli anni ’20 con uno psicologo americano, Sidney Pressey. Le macchine per insegnare, da lui progettate, consistevano in un congegno molto semplice, con cui venivano presentate, all’utente, delle domande a scelta multipla. Una volta che l’allievo individuava quella che per lui era la risposta giusta, doveva premere il bottone corrispondente ad essa; se la risposta era esatta, la macchina proponeva l’argomento seguente, se, invece, la risposta era errata, la macchina registrava l’errore e obbligava lo studente a procedere per scelte successive, sino a quando non trovava la soluzione. I limiti di queste macchine consistono nella loro scarsa adattabilità ai processi di apprendimento: se la risposta è sbagliata, al fine di poter completare il compito l’allievo, spesso, ricorre ad un procedimento alla cieca. In questo caso non è più la macchina che si adatta all’allievo, ma viceversa, è l’allievo che si deve adattare alla macchina!
Nel 1954 B. F. Skinner pubblicò un articolo – The science of learning and the art of teaching – di fondamentale importanza nella storia della tecnologia educativa, in cui sottolinea la necessità dell’introduzione delle teaching machines nel processo di apprendimento, in relazione alla teoria del rinforzo da lui formulata.
Alle macchine di Pressey, Skinner mosse l’accusa di essere, più che delle vere e proprie macchine per insegnare, delle semplici testing machines, ovvero macchine che controllano il grado di apprendimento dell’alunno in cui, però, non vi è traccia d’insegnamento. Le macchine che egli propose contenevano in se quelli che egli stesso riteneva i requisiti fondamentali per l’apprendimento:
– comportamento operante dell’allievo (e non più passivamente rispondente, come avveniva in Pressey);
– rinforzo frequente e immediato; esse, infatti,avevano la duplice funzione di inviare informazioni e di rinforzare le risposte corrette.
La macchina – che nella programmazione skinneriana rappresentava il sostituto dell’insegnante – prima di andare avanti, si preoccupava di constatare che l’alunno avesse ben capito e appreso un dato concetto, in modo da rinforzarlo “positivamente” e costantemente, ponendolo nelle condizioni di non sbagliare mai. Infine essa, per ogni risposta corretta, rinforzava l’allievo con un feedback[2] immediato che “plasmava” il comportamento dell’allievo e che, allo stesso tempo teneva vivo il suo interesse.

È bene chiarire che forse Skinner non pensava di fare da padre fondatore di un nuovo settore disciplinare visto che affermava nelle conclusioni dell’articolo: «…il compito è semplice… le tecniche necessarie sono note»1 . Tuttavia il nuovo settore disciplinare si sviluppò rapidamente, soprattutto nel mondo anglosassone, dove fu identificato col termine educational technology (talvolta con una diversa sfumatura di significato instructional technology). In Italia l’interesse per questo settore si sviluppò solo molto più tardi e solo all’inizio degli anni 70 fece la sua timida comparsa il termine tecnologie didattiche. In quarant’anni di vita questo settore è cresciuto e si è trasformato sia per dinamiche sue sia per l’influenza dell’innovazione tecnologica e dei mutamenti sociali.
BIBLIOGRAFIA
Skinner, B. F., La scienza del sapere e l’arte dell’insegnamento – Harvard Educational Review, 1954,.
